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Chi salva il liceo classico (e la nostra identità)?

 


Il termine “classico” viene dal latino “classicus”. Il significato generico è quello di eccellente. I migliori tra i militari dell’esercito romano erano chiamati “classici”: la crema ed il fiore della latinità marziale. “Exercĭtŭs”, del resto, significa sforzo, pratica. Il pensiero debole dei tanti peregrinatori mentali che hanno abitato ed abitano le classi di quella che dovrebbe essere l’avanguardia culturale d’Italia, rappresenta esattamente l’inverso.

Li chiamano intellettuali, ma se c’è una visione melensa e distorta del liceo classico è proprio quella radical chic: il luogo della erotizzazione del sapere adattato alle richieste della liquidità denunciata da Bauman.

La generazione più produttiva, infatti, fu quella del rigore e della disciplina, non certo l’odierna adagiata sui desiderata del consumatore: più tecnologia, più gite, più progetti, più elasticità, meno responsabilità, meno compiti, meno bocciature, meno filosofia, meno storia dell’arte, meno latino, meno greco e meno libri.

Un maquillage senza senso ma non senza conseguenze. Tra le quali, l’analfabetismo di ritorno. Sì, anche al classico, c’è chi non legge un libro in un anno. Il tutto condito dal vizio ideologico di coloro che,  propinando una versione contraffatta di questo indirizzo, ragionano ancora per divisioni sociali senza accorgersi che i figli di papà a scuola non vanno più: hanno il precettore. La chiamano homeschooling ma è un modo soft per dire che i veri ricchi dell’istruzione tout court non si fidano più.

La generazione che creò il boom economico, poi, basta da sola per difendere la visione di Gentile. Tecnici, ingegneri e chimici formatisi con la schiena piegata sui testi non proprio progressisti di Virgilio e Platone. Il figlio perfetto di quell’impostazione fu Carlo Emilio Gadda, un ingegnere che scriveva come un dio.

I numeri irrisori delle iscrizioni all’indirizzo che più degli altri avrebbe gli anticorpi per la difesa dell’identità occidentale nascondono un macroproblema: si è mai sentito un insegnante musulmano dire che l’arabo non serve a niente? No, mai.

Noi, invece, ci interroghiamo sull’utilità del latino, della filosofia e persino della storia. Le materie che insegnano a pensare vengono considerate inutili. Le materie che raccontano chi siamo sono accreditate come morte. Così, assieme a loro, moriamo un po’anche noi. Lasciando il fianco scoperto a chi ha ben chiaro il valore della propria tradizione identitaria. I promulgatori del relativismo dell’insegnamento dovrebbero leggersi la Palinodia di Leopardi! I rischi della sovrapposizione valoriale dell’economia a tutto il resto erano noti da tempo.

Salvare il liceo classico, dunque, è una questione di tutela dell’Italia, dell’Europa e delle prospettive geopolitiche dell’occidente intero. Nei giorni del chiacchiericcio sulla “Buona Scuola” è bene ricordare che c’era un’ottima scuola. Un’invenzione italiana, il cui brevetto andrebbe tirato fuori dagli scaffali polverosi dei tecnocrati e discusso prepotentemente quale oggetto di estrema attualità. Sempre che qualcuno sia ancora cosciente che per difendersi oggi serva studiare come ci si è difesi ieri.

 

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